Blog

traslochi mentali rick dufer daily cogito

Traslochi mentali

Trasloco significa confusione, rumore, casino, destabilizzazione. Avete mai fatto un trasloco? Sembra incredibile, ma il casino delle stanze, della casa, dei mobili, delle scatole si traduce in casino nella testa, nei pensieri, nei concetti e nella serenità. Se avete presente la frase “clean your room to clean your head” (un po’ come l’emendazione di cui parla Spinoza), credo che il trasloco sia la dimostrazione per inverso di tale idea: “mess in your room, mess in your head”.  Tutto questo è un complesso e inutilmente verboso ragionamento per dirvi che il trasloco mi ha incasinato la testa al punto da non avere una riflessione adeguata, seria, profonda, e tutto ciò che ho da darvi, quest’oggi, è questo stimolo: non traslocare le tue stanze se non vuoi traslocare la tua testa. Scherzi a parte, siamo finalmente ripartiti con i Daily Cogito dai nuovi Cogito Studios e direi che la community ha accolto il cambiamento con un enorme entusiasmo: siamo felici della scelta fatta, è senza dubbio un progresso enorme che ci sarà grandi soddisfazioni! E non vediamo l’ora di condividere con voi i momenti straordinari che ci aspettano nella nostra nuova dimora! Prometto che domenica prossima troverete una riflessione degna di questo nome, ma per oggi si chiude qui. Anche se, ovviamente, sotto trovate tanti consigli, promemoria e letture che fossi in voi non mi perderei!  Buona domenica sera e un abbraccio a tutti voi!

Di più

Com’è andato il primo Cogito Festival?

“Quando siete felici fateci caso” E io, durante la due giorni del Cogito Festival, alla mia incontenibile, inesausta ed elettrizzata felicità, ci ho fatto caso, eccome. Le parole non possono descrivere la bellezza e l’emozione esplose durante le tante conferenze, gli incontri con pubblico e autori, i momenti condivisi con persone entusiaste e appassionate, quindi cercherò di far parlare i numeri: Sfido io che ero felice: pur avendo frequentato, sia da ospite che da organizzatore, molti festival consolidati in Italia, raramente (se non mai) mi è capitato di essere testimone di una prima edizione di così enorme risalto, che pur ha dovuto sopportare la totale mancanza di attenzione dei mezzi di informazione del territorio (soltanto il “Giornale di Vicenza” si è svegliato tardi, il giorno dopo il festival, con un articolo che tentava di recuperare il terreno perso; ma ciò non toglie che anch’esso ha mancato in pieno la sua principale funzione, ovvero quella di avvisare la popolazione di un evento con ospiti di tale caratura). E per anticipare un’obiezione: NO, non siamo stati noi a comunicare male il Festival – se arriva gente da ogni dove d’Italia e del Festival si parla molto in giro, ma dal vicentino non c’è molto richiamo, significa che il problema è dei mezzi del territorio, mentre i nostri (che sono inevitabilmente nazionali) funzionano molto bene. Il Cogito Festival dimostra come una realtà giovane che lavora bene sul web, proprio come quella dei Cogito Studios, possa diventare un asset territoriale importante, sia culturalmente che economicamente, e probabilmente è giunto il momento che qualcuno inizi a credere nella concretezza delle buone iniziative, per quanto “GGGIOVANI” e sviluppate attraverso la rete. Ma “giovane” non significa sprovveduto e “rete” non significa virtuale: la concretezza nel portare centinaia di persone provenienti da ogni parte d’Italia nella piccola Schio è un fatto conclamato; l’importanza di avere ospiti di livello nazionale in una realtà il cui provincialismo non sa spesso guardare oltre il proprio ombelico è un altro fatto. Se solo le associazioni del territorio, e con esse le realtà economiche e culturali, avessero il coraggio di svecchiarsi e mettere da parte quel piccolo orgoglio che non porta da nessuna parte, forse potrebbero cogliere l’occasione di costruire una relazione con chi sa fare bene queste cose. E i Cogito Studios sono sempre aperti a chi sa fare i conti con i fatti e tralascia le ulcere causate dalle fantasie. Da anni organizziamo in totale indipendenza incontri pubblici con autori e personaggi di altissimo livello vedendo sempre una scarsa affluenza da parte della cittadinanza scledense (tenete conto che ad ogni incontro la percentuale di persone provenienti da Schio città si aggira intorno al 10% dei partecipanti, tutti gli altri vengono da fuori e spesso da molto lontano) e lottiamo contro il pregiudizio di associazioni che boicottano i nostri incontri (sappiamo per certo che alcune di loro mandano comunicazione ai propri associati con la richiesta di non partecipare ai nostri eventi), arrivando addirittura a chiedere all’amministrazione di FAR ANNULLARE I NOSTRI EVENTI per via di fantasie assolutamente comiche e incredibili. Altre associazioni del territorio, più legate al lato filosofico, da anni detestano e denigrano il mio progetto, ignorando i miei tentativi di avvicinamento (probabilmente, nella loro mentalità novecentesca, è inconcepibile che un filosofo possa usare un mezzo meschino come YouTube, pur nel 2022) e coltivando il proprio giardinetto senza curarsi della grande prateria oltre i recinti. Allo stesso Cogito Festival, la presenza di cittadini di Schio si è aggirata intorno al 10/15%, dimostrando che le orecchie da mercante possono prendere dimensioni spropositate, quando nutrite da stupidi pregiudizi. Sia chiaro: durante questo weekend abbiamo dimostrato che non c’è bisogno di superpoteri, favoritismi o immense forze (o sforzi) per ottenere un ottimo risultato e che l’impatto di quello che abbiamo costruito negli ultimi anni dentro e fuori dal web parla da sé, ma sappiamo anche che si cresce insieme, guardando avanti e non verso il passato, e la prossima edizione del Cogito Festival sarebbe ancor più bella se pensata insieme a tante altre volenterose forze territoriali. Mi sento anche di ringraziare coloro che hanno creduto nel progetto e ci hanno aiutati a renderlo possibile: l’assessore alla cultura Barbara Corzato, con cui ormai c’è un legame di amicizia e reciproca intesa; lo Schiocampus Cafè & Bistrot, che ha sfamato e dissetato per l’intera manifestazione tutti noi, salvandoci la vita; l’amministrazione di Schio, con alcuni esponenti che hanno partecipato ai nostri incontri; la Distilleria Poli, che ha omaggiato i nostri ospiti con un graditissimo prodotto territoriale; la libreria Ubik di Castelfranco, che da anni ormai dà un professionale aiuto “libresco” alle nostre iniziative. Tutto questo reso entusiasti dell’esperienza persino coloro che hanno percorso 600 km per esserci (cosa non da poco), ha dato motivo ai nostri ospiti di parlare bene della manifestazione (altra cosa rilevante), a noi di andare orgogliosi di quanto compiuto (probabilmente, il traguardo più importante). Insomma, gli amici non sono mancati, ma la speranza è che i risultati raggiunti in questa prima edizione possano spingere altri a diventare nostri amici per collaborare e far conoscere le potenzialità culturali del nostro territorio, di cui i Cogito Studios mirano a diventare uno dei principali fulcri. Intanto, io mi godo la bellezza di questo weekend e mi ricordo di essere felice.Felice di poter creare cose belle in una città bella che ha così tanto da dire e da dare.Schio, la città della DeZombificazione. PS: le conferenze sono tutte disponibili per i nostri abbonati sul canale YouTube (abbonamenti a partire da 0,99€/mese), ma durante la pausa natalizia verranno pubblicate le singole conferenze disponibili a tutti.

Di più

Road to 2023

Ma ci pensate mai a questi ultimi due anni? Ci pensate a quanto c’è stato, quanto abbiamo dimenticato, rimosso, superato, quanto abbiamo perso e conquistato? Ci pensate allo stravolgimento, alle promesse fatte, mantenute e deluse, alle accuse sentenziate, calcolate, ribadite e rinnegate? Ci pensate mai a quanto ci siamo trasformati? A quanto stiamo ritornando quelli di prima, ma forse un po’ peggio e, sotto alcuni aspetti, un po’ meglio? Per me è sorprendente guardarci con in mente tutta questa memoria compressa. Credo sia giunto il momento di andare avanti, di voltare pagina, di rinnovare la voglia di procedere non più a ritroso, non più a passo di gambero. La strada verso il 2023 è stata tortuosa e ora richiede la nostra perfetta attenzione, ci impone di essere concentrati sul lavoro da svolgere, sul futuro da costruire, smettendo di recriminare tutto ciò che è stato o non è stato.  Noi stiamo facendo il nostro. Nuovi Cogito Studios (non vediamo l’ora di mostrarveli, a partire dal 16 gennaio con le nuove trasmissioni), nuovi collaboratori (la famiglia si allarga e presto conoscerete i nuovi volti), nuovo libro (ricordo, in uscita il 14 febbraio per Feltrinelli), nuove idee, nuovi ospiti, nuove visioni del futuro e di noi stessi. Facciamo la scommessa che la nuova normalità possa essere migliore della precedente, che da questo stato larvale possiamo emergere più ricchi di prima, la miglior versione di noi stessi. Non è un proposito facile perché tiene insieme così tante cose da farci girare la testa, ma ce la metteremo davvero tutta.  Ma tutte queste novità non comportano la cancellazione del passato, anzi: si tratta di una valorizzazione di quel che è accaduto. Il futuro è sempre l’intrecciarsi di tutto quel che è già successo, sia quello che ricordiamo, sia quel che abbiamo scordato. Siamo il risultato confuso e caotico delle mille strade che in noi s’intrecciano, ma siamo pur sempre noi a scegliere verso dove dirigere la matassa che ci porterà al domani. E questo vogliamo fare. Questo è il significato del Cogito Festival: un modo per dare il dovuto addio ai Cogito Studios e a questo biennio così complicato, ma con il proposito di rifarlo nel 2023, con tutto il bagaglio dell’esperienza cumulata finora!  Mi sento fortunato ad aver costruito questa Community e mi piacerebbe vederla crescere e maturare in questo 2023. Ovviamente, ciò non avviene senza una maturazione mia e del nostro lavoro, quindi la scommessa siamo qui a farla con voi, in questa “lista di propositi” un po’ anticipata ma significativa. Dal canto vostro, ricordate di seguire ciò che vi restituisce un valore per il tempo che spendete, non fatevi spendere dal tempo che altri vi richiedono senza dare nulla in cambio. Ricordate che siete anche il frutto di ciò che guardate, ascoltate, vedete, e selezionare le informazioni in entrata è compito essenziale per una mente presente a se stessa. Ricordate che lasciarsi andare al caos è molto semplice, ma ritornare a dare ordine è maledettamente complicato se ci siamo disabituati a farlo: è impossibile non tornare a farlo, ma prima ci mettiamo al lavoro e più facile sarà.  E poi, ricordate di sostenere attivamente le vostre idee e le amicizie che vi permettono di nutrirle e arricchirle. Mi piace pensare di essere una di quelle persone che vi danno proprio questa possibilità, nell’accordo e nel disaccordo. Quindi, parlate di noi, dateci una mano a crescere e ad intraprendere insieme questa strada verso e dentro il 2023.  Non vedo l’ora di scoprire cosa ci aspetta!

Di più

Chi cerca la Sfida, chi fugge dalla Sfida

C’è chi la Sfida la cerca, chi la rifugge. Ma non illuderti: entrambi la troveranno o verranno da essa trovati. Si tratta di un’inevitabilità: la vita ci presenta sfide in continuazione e tocca a noi decidere come rispondere. Non so come venga rimescolato il mazzo, né se la distribuzione delle sfide e la loro gravità sia equa al mondo. Sono piuttosto convinto che si tratti di una distribuzione sbilanciata e che ad alcuni le carte girino peggio rispetto ad altri, ma non possiamo farci poi molto poiché la forza della sfiga è più potente di qualsiasi nostro tentativo di contrastarla. Possiamo solo sperare di smussarne gli effetti, partendo dal presupposto che sembreremo sempre ridicoli nel farlo.  L’unica cosa che ho capito è che la Sfida ti raggiunge, sempre, in un modo o nell’altro. Si può presentare sotto molteplici forme, tutte disturbanti e complicate: un fallimento cocente, aggravato dall’incapacità di rialzarsi con prontezza; un tradimento, causato da crudeltà o aspettative distorte; una perdita, resa ancor più dolorosa dalla mancanza di un appiglio che mi permetta di far ordine in tempo. La Sfida viene lanciata e noi siamo chiamati a rispondere, ma quasi sempre non sappiamo proprio che cosa fare. Lì si gioca il destino di molti di noi e si separa il destino di chi la Sfida la ricerca e di chi da essa fa di tutto per nascondersi. Coloro che cercano la Sfida, che mettono in discussione le zone di comfort, che lavorano per allenarsi all’incontro con l’affronto della vita, che si sentono chiamati a rafforzarsi quando potrebbero tranquillamente starsene “in panciolle”, saranno capaci di contrastare l’avversità e lo tsunami emotivo con qualche arma in più rispetto a chi la Sfida la evita in ogni modo, illudendosi di poter vivere una vita senza mai incontrare il calpestìo del destino. Non fraintendetemi: entrambi sono destinati ad essere travolti. Ma chi è riuscito ad immaginare, ad anticipare la travolgente forza della Sfida, non sarà colto drammaticamente impreparato.  In fin dei conti, tutto si gioca su questa consapevolezza: chi ha compreso che la Sfida e la Vita sono la medesima cosa e chi pensa che la Sfida sia solo un optional indesiderabile della Vita. L’esperienza mi ha dimostrato che la prima possibilità è la più probabile e che, per il semplice fatto di essere Vivo io sono Sfidato. E riposare nella zona di comfort significa soltanto cadere nella trappola che la Vita ci pone di fronte: “Riposati, quando lancerò la mia Sfida sarai senza dubbio sconfitto” dice il demone, ridendosela di gusto del nostro pregiudizio di comodità.  La Vita è la Sfida, lanciatami da non so chi verso non so cosa. Ma scelgo di coglierla e di giocarmela fino in fondo. Cos’avrò mai da perdere?

Di più

Dire sempre (o quasi) la Verità (o quasi)

Quando ero piccolo, una parte de “I viaggi di Gulliver” mi colpì moltissimo. Il padrone dei cavalli, gli Houyhnhnm, si stupisce di quanto gli esseri umani siano contraddittori nell’usare il linguaggio per NON dire la verità. Parafraso perché sono in viaggio e non ho con me il libro, ma più o meno dice: “Trovo assurda la vostra tendenza a usare parole per dire ciò che non è. Le parole dovrebbero servire a dire proprio come stanno le cose!”  Per un filosofo, questa è una visione molto ingenua: come si può dire come stanno le cose usando un sistema simbolico che fa dell’approssimazione il suo marchio di fabbrica? Le parole sono necessariamente distaccate dalle “cose come stanno” poiché sono solo segni a cui noi, in modo più o meno arbitrario, leghiamo dei significati che di contesto in contesto cambiano, a volte anche in modo radicale.  Ma il padrone dei cavalli ha senza dubbio ragione nel denunciare l’uso che si fa delle parole. Infatti, pur conoscendo perfettamente la distanza tra “parole” e “cose”, le intenzioni di chi comunica dovrebbero essere sempre rivolte a rendere chiaro il proprio messaggio. Ovvero, dovremmo essere sempre intenzionati a dire la verità, o meglio: la cosa più vicina possibile alla verità. Invece, per i motivi più svariati, ci ritroviamo a mentire, ingannare, manipolare, per paura, voglia di potere, secondi fini o “utilità”. E il padrone dei cavalli riesce a far vergognare Gulliver della propria appartenenza al genere umano. A migliorare la consapevolezza di Gulliver è proprio quel senso di vergogna: se mi vergogno delle menzogne dette, la prossima volta le mie intenzioni saranno molto più in linea con la funzione del linguaggio, che è quella di esprimere nel modo più limpido possibile quello che penso e sono. Per quanto noi cerchiamo di fuggire dalla vergogna del veder svelate le nostre menzogne, quell’esperienza terribile è parte integrante della capacità di dire “la cosa più vicina alla verità”, anche quando questo fa male.  Perciò, in questa newsletter auguro a tutti noi di provare quella vergogna e avere la forza di non volerla più provare: nessuno di noi è esente dalla menzogna, per cattiva o ingenua coscienza, ma importante è rendersi conto del danno commesso e, magari trovando il proprio Houyhnhnm, ricordarsi di quanto sia importante dire le cose come stanno, nel modo più onesto e chiaro possibile.  In giorni di grandi menzogne, la lezione data a Gulliver da un cavallo è fondamentale anche per noi.

Di più
wittgenstein e sisifo storia di due sconfitte endoxa novembre 2022 Daily Cogito rick dufer

Wittgentein e Sisifo: storia di due sconfitte

Quando la filosofia nasce da una sconfitta Questo è il mio articolo uscito nel numero di ENDOXA di novembre 2022.QUI puoi trovare l’articolo sul sito di ENDOXA e QUI puoi scaricare il pdf con i contributi di tutti gli autori. Ma come si fa a dire che su di ciò di cui non si può parlare si deve tacere? Come si può pensare che l’impensato non venga espresso, che il non detto rimanga tra-le-righe, che il non espresso possa restare nel silenzio di una vita così complicata?La figura filosofica di Wittgenstein mi ha sempre affascinato poiché rappresenta il Mito di Sisifo per eccellenza, ancor più di Albert Camus. Infatti, se quest’ultimo è l’autore dell’omonimo testo, Ludwig Wittgenstein è l’incarnazione filosofica di quel mito e ciò risulta al tempo stesso tragico e romantico. Ho sempre considerato la proposizione finale del Tractatus come la più alta aspirazione a cui una creatura pensante e linguistica possa ambire: tutto ciò che sta al di fuori del linguaggio, del simbolo, della parola e della rappresentazione dovrebbe essere lasciato in pace, in silenzio, nel dimenticatoio. Non tanto per tracotanza o superiorità, ma proprio per umiltà e consapevolezza del limite. Il Tractatus è il libro scritto da un uomo ossessionato dal limite: il limite dell’agire umano, che per un individuo testimone delle trincee della Prima Guerra Mondiale è un’evidenza tragica; il limite del linguaggio, di cui la filosofia stessa è figlia (ricordiamo che Wittgenstein è colui che meglio di tutti ha affermato il ruolo della filosofia in quanto “fraintendimento” umano per eccellenza); il limite della vita, segnata ineluttabilmente dalla fatica, dall’incomprensione e, non ultimo, dalla morte. La tagliente natura di quell’opera immensa e rivoluzionaria sanciva un prima e un dopo: il prima, intriso di una filosofia tracotante che, desiderando ignorare tutti quei limiti esposti sopra, tenta di farci portavoce di un pensiero che abbraccia l’esistenza umana e quella universale in modo onnicomprensivo; il dopo, segnato da una filosofia che finalmente sa farsi da parte, sa rimanere al proprio ruolo, comprendendo l’invalicabilità dei propri limiti, che poi sono quelli del pensare stesso.L’umiltà del non-poter-pensare, del non-saper-rappresentare e, di conseguenza, del non-voler-dire è una missione di grandissima ambizione che il Tractatus di Wittgenstein si è posto e nel quale, proprio come Sisifo, ha miseramente fallito. La cosa ironica è che tale opera non ha fallito a causa dell’arroganza degli uomini, bensì per mezzo dello stesso autore. È proprio Wittgenstein che, anni dopo aver deciso di abbandonare la pratica stessa della filosofia, convinto di aver detto tutto quanto c’era da dire (ovvero poco, ma detto bene), ritorna sui suoi passi e decide di spingere nuovamente il masso verso la cima della montagna, ben sapendo di essere condannato alla sconfitta, inesorabilmente. Si sono spese così tante tonnellate di inchiostro sul “primo” e “secondo” Wittgenstein, sul filosofo del Tractatus e su quello delle Ricerche filosofiche, sul pensatore del linguaggio come limite e fraintendimento e su quello del linguaggio come gioco ed esperimento, che non mi sento adeguato a ripercorrere questo strambo labirinto dell’animo di un uomo. Ma ciò che mi lascia basito è quanto la filosofia nasca spesso da una sconfitta.Infatti, il Tractatus è un’opera che nasce da una sconfitta e dalla conseguente resa: l’essere umano giunge dalla tracotante e onnipotente infanzia, ma scopre che la realtà sta lì per contraddire il suo presupposto di poter dominare tutto e tutti. La finale vergata che Wittgenstein getta nella propria opera è il definitivo abbandono dell’infanzia e del sentimento divinatorio che essa inevitabilmente nutre: io sono il centro del mondo, l’apice dell’evoluzione e della creazione, padrone di me stesso al quale l’intero cosmo si sottomette; io non ho limiti, posso espandermi indefinitamente nello spazio e nel tempo, non conosco morte né sconfitta e perdurerò in continua espansione. La realtà però giunge e stronca la tracotanza naturale dell’infante che si trova a dover valutare due alternative: o soccombere per incapacità di adattamento alla nuova realtà, o rimodulare la propria relazione con il mondo e rivedere alla radice la concezione che ha di sé. Lì giunge una prima maturazione dell’individuo che, passando da una fase infantile a una più adulta, si rende conto che non è il mondo ad essere a sua disposizione, ma è lui ad essere uno dei prodotti collaterali del mondo e, in questo senso, è costretto a riconoscere i propri limiti e le proprie deficienze. Il Tractatus, per me, ha sempre rappresentato questa prima resa incondizionata al limite, alla sconfitta, alla morte. A quel punto, la strada intrapresa da Wittgenstein è quella del silenzio, dell’accettazione pacifica, del ritiro incondizionato.Ma quello che viene definito “secondo” Wittgenstein è altresì frutto di un’ennesima sconfitta che il maturo post-infante non pensava possibile. Cosa può venire sconfitto dopo che si è accettata la resa incondizionata al limite? Le Ricerche filosofiche e tutti i quaderni che il filosofo raccoglie nella sua seconda fase rappresentano una seconda fase di “maturazione” e la resa ad un’ennesima evidenza prima irriconoscibile: l’accettazione della stoltezza o, come ho scritto nel mio Elogio dell’idiozia, dell’ignoranza incolpevole in movimento.Il cambiamento che Wittgenstein mostra nei confronti del linguaggio potrebbe sembrare un ritorno alla tracotanza infantile che precede la presa di coscienza del Tractatus, ma non è così. Uno sguardo superficiale potrebbe considerare la concezione del linguaggio come “gioco” un passo indietro rispetto alla lapidaria sentenza dell’opera precedente. Ma ciò di cui il filosofo si rende conto è che la resa non è ancora finita e che quell’ultimo aforisma, “su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”, rischia di essere tanto arrogante quanto l’atteggiamento infantile che esso cerca di smontare. Infatti, siamo limitati anche nella comprensione definitiva dei nostri limiti e considerare “definitivo” quel che posso o non posso dire diventa tanto riduttivo quanto supponente. Le Ricerche filosofiche rappresentano il momento in cui Sisifo, seduto ai piedi della montagna con il masso inerte accanto a sé, si rende conto che non c’è altro da fare che riportarlo verso la cima, pur consapevole della sconfitta che lo attende. In Wittgenstein, la sconfitta ci attende da entrambi i lati della ricerca di significato: è sconfitto l’infante che si illude di poter vincere sulla montagna e si rende conto che i suoi

Di più