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La tempesta è un’occasione: non scappare

L’occasione delle tempeste “Non so chi sono né dove sto andando.” Quel che so è che esiste una scintilla, lì fuori, pronta ad aprire una breccia, uno squarcio che mi permetta di osservare cosa giace nelle mie profondità. Attendo lo spiraglio e resto all’erta, pronto a cogliere i segni di un’occasione da non perdere. L’occasione non è quella del successo, della felicità, della quiete. L’occasione è quella delle ferite, dei cataclismi, delle tempeste. Quell’occasione sconquassante è ciò che attendo, che attendiamo tutti, per scoprire finalmente il pertugio verso la nostra interiorità. Quando lo squarcio si apre, alcuni sono riluttanti ad addentrarsi e preferiscono voltare lo sguardo verso le cose piacevoli: a quel punto, lo spiraglio sarà attraversato da ogni sorta di invasore, pronto a prendersi il territorio inesplorato del nostro animo. In effetti, ciò che giace laggiù è il materiale più prezioso dell’universo: la verità. Altri, forse più coraggiosi o più fortunati, all’aprirsi della voragine che dà sull’anima scelgono di avventurarsi, dando le spalle al mondo lì fuori, in cerca di quel prezioso materiale chiamato “verità” che nessuno di noi conosce prima di averlo toccato con mano. Chi si addentra nell’abisso, cogliendo l’occasione delle tempeste, ha già capito che il mondo non può dare alcuna verità perché essa riposa fremente nelle più profonde cavità della nostra esistenza. Chi si addentra nell’abisso sa che, come ogni vero esploratore, potrebbe non ritornare più. Sa che, come ogni esploratore, la via impervia potrebbe portarlo a un niente di fatto. Sa che, nel tentativo di conquistare tutto, potrebbe perdere ogni cosa. Ma si addentra comunque, perché non ha altra scelta. A te che mi leggi, un augurio: quando la tempesta inevitabile aprirà la breccia, sii all’altezza dell’occasione e metti un piede nel crepaccio. Laggiù, anche se ti è difficile crederlo, pulsa qualcosa di irripetibile, di geniale, di terrificante e irresistibile. Proprio quella è la meta dell’esistenza, nessun’altra meta o terra conquistata ha mai avuto il valore di ciò che ti alberga dentro. Se non ti lancerai tu a capofitto, in modo incosciente e contro ogni consiglio ragionevole, lo farà qualcos’altro: un demone, una forza, un intruso. E qualcuno, al posto tuo, dominerà quella verità, prendendo il posto al comando della tua esistenza. Lo so che hai paura, lo so che le tempeste ti immobilizzano, lo so che le domande sono molto più potenti delle risposte. Ma se non cogli l’occasione della tempesta, ti volterai indietro alla fine della vita, e ti chiederai: “Chi sono stato e dove stavo andando?“ Vuoi restare sempre aggiornato? Iscriviti alla mia newsletter.

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Dis-Educazione Sentimentale? AIUTO

Diseducazione sentimentale Si parla molto di educazione sentimentale, fatta a scuola, in famiglia o nei contesti più disparati. Si chiede a maestre di elementari, professori liceali, genitori impreparati e allenatori di pallacanestro di “educare i ragazzi ai sentimenti”, ma quando si scende nel dettaglio non si capisce mai cosa ciò significhi. In una scuola, l’educazione sentimentale si è così tradotta: “La maestra, per ricordare la povera Giulia, ha avuto la brillante idea di far stare in aula i bambini per tre ore zitti che non potevano dire o fare nulla mentre le bambine potevano fare quel che volevano” (fonte). Un altro genitore dice che la figlia (scuola elementare) è andata a casa piangendo e dicendo: “Mi stanno facendo passare la voglia di sposarmi” dopo che la maestra ha raccontato nel dettaglio il fatto di cronaca di questi giorni. Su X e sui social si trovano moltissime testimonianze di questo tipo e la cosa conferma ciò che dicevo qualche giorno fa: l’educazione sentimentale non è possibile perché il sentimento è una cosa estremamente soggettiva e cercare di “inculcare” sentimenti nelle persone fa sempre enormi danni. Non si educa ai sentimenti, ma si può curare il contesto in cui i sentimenti emergono in modo maturo. Per questo io ribadisco che la strada sta nella riappropriazione della sofferenza. Quel che vediamo scatenarsi in questi anni è una disabitudine a dare un significato alla sofferenza: se soffro non è perché devo rimettere in discussione quel che sono, ma perché qualcuno sta compiendo un’ingiustizia verso di me. Questo è il frutto della campana di vetro culturale in cui siamo cresciuti, in cui la sicurezza e l’agio sono diventati più importanti della libertà e della responsabilità. Siamo una società di viziati convinti che il significato della vita ci venga portato con Deliveroo, incapaci di offrire energie verso ciò che non ci pare conveniente, svogliati nelle relazioni e analfabeti sul dolore altrui. E quando la sofferenza erompe non sappiamo gestirla e cerchiamo il nemico: una volta è il “maschio bianco privilegiato”, un’altra volta è l’ebreo, un’altra ancora è l’ex-fidanzata. E il dibattito di questi giorni intorno alla povera Giulia Cecchettin lo dimostra: le piazze di ieri non erano affatto un contesto di educazione ai sentimenti, ma un atto di accusa verso categorie che non piacciono, con cui ci si trova in contrasto, che violano il desiderio di avere ragione. Un contesto di creazione di nemici non può portare ad alcun sentimento buono. Tutto questo non fa che alimentare l’incapacità di provare empatia, la quale si costruisce sulla prudenza e non sullo slogan, sulla messa in discussione di sé e non sulla profilazione di un nemico. Non c’è possibilità di educare ai sentimenti se chi lo fa, in prima persona, vuol sembrare sempre dalla parte dei buoni. Un mondo dove i fatti tragici della vita vengono usati per dividere la società tra buoni e cattivi, perpetrerà e peggiorerà sempre le tragedie che viviamo. E quello sarà un fallimento da cui nessuna campana di vetro potrà mai salvarci. PS: la fonte del tweet che ho postato sopra è stata cancellata, l’autore stava ricevendo troppi idioti, ma trovate molti altri racconti simili di “educazione ai sentimenti”. Dio ce ne scampi. Vuoi restare sempre aggiornato? Iscriviti alla mia newsletter.

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soffri ma cosa offri quel che hai da offrire rick dufer daily cogito newsletter 19 novembre

Soffri? Ma cosa OFFRI?

Quel che hai da offrire Quando siamo depressi, tristi o sconfitti, la prima vittima è la consapevolezza di quello che abbiamo da offrire. Le ferite che il mondo ci infligge (o che ci auto-infliggiamo) spengono quella spinta interiore a donare quel che si è perché ci portano a dare attenzione a quel che l’esterno ci fa. Quando soffriamo, è come se ci accartocciassimo in noi stessi, chiudendo quelle molte finestre verso il mondo che ci permettono di dare agli altri quel che di valore possediamo, proprio perché dimentichiamo di avere quei valori. La nostra testa ci dice: “Dare qualcosa agli altri? Ma ci mancherebbe, guarda un po’ cosa gli altri ci hanno fatto!” e così cadiamo in una spirale autodistruttiva nella quale perdiamo la stima di noi stessi e il contatto con la nostra interiorità. Smettere di offrirsi ci trasforma nell’opaca ombra di ciò che avremmo potuto essere. Per questo, se di fronte alla sconfitta il dono di sé è la prima vittima, tornare a donare se stessi agli altri è la prima via per uscire da quello stato di distruzione interiore nel quale la sofferenza ci getta. Così come perdiamo noi stessi nel rifiutarci di donare quel che siamo, possiamo ritrovare noi stessi proprio nella decisione di tornare a donarci agli altri. Si esce da quella spirale autodistruttiva esprimendo quello che siamo in modo libero e generoso, non aspettando che qualcuno da fuori ci tenda una mano per salvarci. Si esce dalla tristezza e dalla miseria perché decidiamo di aprire una nuova finestra che permetta a quel che abbiamo dentro di esprimersi là fuori, mettendo in forma compita i nostri talenti, le nostre conoscenze, il carattere, le peculiarità e le idee. Se di fronte alle ferite ci chiudiamo, in una sorta di vendetta contro il mondo, non c’è nessuno che possa aprire le nostre finestre dall’esterno: siamo noi a dover girare quella maniglia e riaffacciarci sul mondo. Le ferite non si rimarginano con le soluzioni che giungono dall’esterno, ma con un movimento interiore che le guarisce trasformandole in significato. E questa è una responsabilità che ognuno di noi ha nei propri confronti. Quindi, se ti trovi deragliato o deragliata, privato di energie e gettato nella miseria, prova a riavviare quel motore interno che si è inceppato chiedendoti: “Cosa ho da offrire io al mondo?”La risposta ti sorprenderà.

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cosa ti rende quello che sei chieditelo le cause prime o almeno le seconde rick dufer daily cogito newsletter 12 novembre spinoza

Cosa ti rende quello che sei? CHIEDITELO!

Le Cause Prime… o almeno le seconde? Spinoza diceva che per capire davvero chi siamo bisogna risalire alla Causa Prima, ovvero Dio. Usando la ragione, l’uomo può comprendere, attraverso uno sguardo sub specie aeternitatis, se stesso, l’universo e tutto ciò che contiene. Di fronte a tale affermazione potremmo sorridere, oggigiorno, sapendo quanto sia più complesso il cosmo, in realtà così alieno rispetto alla nostra mente. Sappiamo che non basta la sola ragione a comprendere tutto e che una buona parte del cosmo, proprio come del nostro animo, è governato da forze che non seguono affatto la ragione spinoziana. Ciò significa che il ragionamento del filosofo olandese sia tutto da buttare? Significa che dobbiamo cestinare secoli di razionalismo? Direi di no. Infatti, se non possiamo arrivare alle cause prime, potremmo tentare almeno di arrivare alle… cause seconde. O terze, che ne dite? Quel che voglio dire è che l’evidenza secondo cui l’universo non è governato da leggi che seguono la nostra razionalità non vuol dire che dobbiamo gettare a mare l’intera razionalità e darci al culto dell’assurdo. Il nostro cervello può ancora scandagliare alcune delle cause che ci portano ad essere quel che siamo e ciò ha un impatto molto positivo sulla nostra vita. Usare il cervello significa stare all’erta e chiedersi sempre: “Cosa mi ha spinto a pensarla in questo modo? Quali sono le cause che mi hanno portato ad essere quel che sono? Posso approfondire le motivazioni che mi hanno spinto ad avere questa passione, a sviluppare questa competenza, ad aderire a tale visione del mondo?” La risposta è ovviamente sì: io posso scandagliare, pur sapendo quanto imperfetta sia la ricerca delle cause, quanto sia sempre rivedibile, criticabile, incompleta. Spinoza aveva un pensiero titanico, probabilmente non applicabile alla lettera e, direi, persino sbagliato nella grande visione delle cose. Ma ciò non significa che noi non possiamo usarlo a nostro profitto. Spinoza ci ricorda che, pur nella nostra imperfetta capacità di comprensione del mondo e di noi stessi, l’unico modo per raggiungere un equilibrio esistenziale e non essere sempre preda del caos della vita è quello di sforzarci di chiedere sempre a noi stessi: “Perché sono quello che sono?” che poi è un modo diverso di nutrire il motto che da sempre dà vita alla filosofia: “Conosci te stesso.” Arrendendoci all’incompletezza di questa ricerca, proviamo a scommettere sul cervello, cercando sempre di scavare dentro di noi al fine di individuare le cause seconde, terze, quarte di quello che siamo. Non ce ne pentiremo.

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Assassini della Luna Fiorita evviva SCORSESE rick dufer daily cogito newsletter 5 novembre western cinema

Assassini della Luna Fiorita: evviva SCORSESE

Scorsese e il cinema Ha ragione Scorsese quando afferma che i film Marvel non sono cinema. Ma non ha ragione per la critica in sé, ha ragione perché poi tira fuori una pellicola come “Killers of the Flower Moon” che dimostra, per distacco, la sua tesi. Il suo ultimo film è cinema allo stato puro e fa impallidire gran parte delle produzioni attuali: fotografia e messa in scena mozzafiato, recitazione di livello altissimo, narrazione minuziosa e ben cadenzata, personaggi credibili e appassionanti, un finale che sorprende sia dal punto di vista narrativo che artistico. Devo dire che sono andato in sala molto scettico dopo “The Irish Man” (che ho trovato a tratti insopportabile, soprattutto per la scelta del casting – Robert De Niro ottantenne che viene ringiovanito a trentenne con la CGI ma comunque si muove e cammina da ottantenne era una caricatura), vista anche la durata del film che sta intorno alle 3 ore e mezza, ma sono stato felice di ricredermi. “Killers of the Flower Moon” è un western vero che trascina con sé i caratteri noir del cinema di Scorsese. Impossibile non vedere in questo film la convergenza di tantissime anime della sua arte: i personaggi profondi di “Silence”, le scene di omicidio di “Goodfellas”, il disagio che rasenta la follia ribelle di “Taxi Driver” e il pessimismo politico di “Gangs of New York” (per non parlare di ambientazioni, fotografia e tante altre anime). Il film mi ha fatto venire voglia di rivedere tanti film del regista perché ho la sensazione che in questa opera abbia voluto nascondere molti più indizi di sé e della sua storia artistica di quanto abbia fatto in passato. Il film è anche una risposta al pessimismo che aleggia intorno alla Hollywood di oggi: c’è ancora un’anima ambiziosa nel cinema, esistono le storie di alto livello, si può trovare lo spazio per produrre qualcosa che sia di ispirazione. La questione è la seguente: quanto abbiamo il coraggio di “ripulirci” da tutto il rumore che anche nel cinema imperversa, tra remake, reboot, saghe infinite e infinitamente insignificanti che si trascinano come cadaveri zombificati e fanno leva solo sulla nostra voglia di comfort? Senza voler quindi demonizzare i film della Marvel o la saga morente di Star Wars, proviamo a chiederci: abbiamo voglia di scoprire cose nuove, magari anche più faticose, ma di maggior significato rispetto a ciò che solletica le nostre voglie nostalgiche? Perché Scorsese questo ci ha dato con “Killers of the Flower Moon”, un film importante che ci ricorda che il cinema è ancora vivo e vegeto, se solo abbiamo voglia di riconoscerlo in mezzo al ciarpame.

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ah la gogna secolare tentazione rick dufer daily cogito newsletter 29 ottobre zerocalcare

Ah, la Gogna, secolare tentazione!

La tentazione della gogna Sicuramente avete sentito parlare delle polemiche intorno al Lucca Comics per il patrocinio dell’ambasciata di Israele e la conseguente diserzione della fiera da parte di ZeroCalcare. Nei prossimi giorni ne parlerò, in un video e forse anche in un articolo, ma oggi voglio ragionare su questo: molti artisti stanno ricevendo messaggi di disprezzo e accuse assurde per il fatto che loro saranno presenti alla manifestazione. Per chi li insulta, questi artisti (musicisti, illustrator, influencer, et cetera) non stanno semplicemente facendo il proprio mestiere, ma stanno collaborando alla strage di Gaza, sono guerrafondai al soldo di Netanyahu e il loro status morale è infimo. Ho ricevuto messaggi da parte di colleghi che, sapendo quanto io mi stia esponendo sulla questione, si sfogano: “Rick, mi hanno scritto che sono dalla parte dei nazisti”, e poi: “Questi sono convinti che io non provi alcuna sofferenza per chi sta morendo sotto le bombe” e altre confidenze simili. Siamo di fronte allo sfacelo culturale. Oggi non voglio lanciare accuse nei confronti di ZeroCalcare, lo farò certamente nei prossimi giorni, ma vorrei concentrarmi sul pubblico: chi ve lo fa fare di lanciarvi in missioni di gogna mediatica sulle quali forse non avete neanche la più pallida idea delle conseguenze? Al di là del fatto che non tutti gli artisti hanno il privilegio di ZeroCalcare (quello di potersi permettere di disertare l’occasione lavorativa più importante dell’anno) perché la loro carriera non è costellata di contratti milionari con Netflix, ma vogliamo tornare una buona volta a rispettare la complessità della situazione? Chi va al Lucca Comics soffre come tutti, nel vedere le immagini dei civili sfollati, ma deve sostenere comunque un’attività complicata che in molti casi vive proprio di questi eventi. Non possiamo essere sempre accecati al punto da non accorgerci di queste sfumature fondamentali della vita. La tentazione di mettere alla gogna chi non la pensa come noi, in questo caso, sfocia nel mettere alla gogna chi magari la pensa come noi ma non ha le forze o la possibilità di essere “moralmente superiori” (tra milioni di virgolette) come ZeroCalcare! Bisogna fare un bel respiro e tornare a usare il cervello, altrimenti il caos prenderà il sopravvento e noi saremo tutti nudi, a raccogliere i cocci della nostra idiozia. Un’aggiunta finale, che mi pare fondamentale: i volumi con i fumetti di ZeroCalcare saranno ovviamente in vendita negli stand del Lucca Comics e, ci scommetto i nonni, avranno un picco di vendite non indifferenti grazie a questa trovata pubblicitaria. Mi pare una superiorità morale un po’ zoppa, ma tant’è. Ci vediamo stasera con Platone! Buona domenica.

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