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Dis-Educazione Sentimentale? AIUTO

Diseducazione sentimentale

Si parla molto di educazione sentimentale, fatta a scuola, in famiglia o nei contesti più disparati. Si chiede a maestre di elementari, professori liceali, genitori impreparati e allenatori di pallacanestro di “educare i ragazzi ai sentimenti”, ma quando si scende nel dettaglio non si capisce mai cosa ciò significhi.

In una scuola, l’educazione sentimentale si è così tradotta: “La maestra, per ricordare la povera Giulia, ha avuto la brillante idea di far stare in aula i bambini per tre ore zitti che non potevano dire o fare nulla mentre le bambine potevano fare quel che volevano” (fonte).

Un altro genitore dice che la figlia (scuola elementare) è andata a casa piangendo e dicendo: “Mi stanno facendo passare la voglia di sposarmi” dopo che la maestra ha raccontato nel dettaglio il fatto di cronaca di questi giorni. Su X e sui social si trovano moltissime testimonianze di questo tipo e la cosa conferma ciò che dicevo qualche giorno fa: l’educazione sentimentale non è possibile perché il sentimento è una cosa estremamente soggettiva e cercare di “inculcare” sentimenti nelle persone fa sempre enormi danni.

Non si educa ai sentimenti, ma si può curare il contesto in cui i sentimenti emergono in modo maturo. Per questo io ribadisco che la strada sta nella riappropriazione della sofferenza. Quel che vediamo scatenarsi in questi anni è una disabitudine a dare un significato alla sofferenza: se soffro non è perché devo rimettere in discussione quel che sono, ma perché qualcuno sta compiendo un’ingiustizia verso di me.

Questo è il frutto della campana di vetro culturale in cui siamo cresciuti, in cui la sicurezza e l’agio sono diventati più importanti della libertà e della responsabilità. Siamo una società di viziati convinti che il significato della vita ci venga portato con Deliveroo, incapaci di offrire energie verso ciò che non ci pare conveniente, svogliati nelle relazioni e analfabeti sul dolore altrui.

E quando la sofferenza erompe non sappiamo gestirla e cerchiamo il nemico: una volta è il “maschio bianco privilegiato”, un’altra volta è l’ebreo, un’altra ancora è l’ex-fidanzata. E il dibattito di questi giorni intorno alla povera Giulia Cecchettin lo dimostra: le piazze di ieri non erano affatto un contesto di educazione ai sentimenti, ma un atto di accusa verso categorie che non piacciono, con cui ci si trova in contrasto, che violano il desiderio di avere ragione. Un contesto di creazione di nemici non può portare ad alcun sentimento buono.

Tutto questo non fa che alimentare l’incapacità di provare empatia, la quale si costruisce sulla prudenza e non sullo slogan, sulla messa in discussione di sé e non sulla profilazione di un nemico. Non c’è possibilità di educare ai sentimenti se chi lo fa, in prima persona, vuol sembrare sempre dalla parte dei buoni. Un mondo dove i fatti tragici della vita vengono usati per dividere la società tra buoni e cattivi, perpetrerà e peggiorerà sempre le tragedie che viviamo. E quello sarà un fallimento da cui nessuna campana di vetro potrà mai salvarci.

PS: la fonte del tweet che ho postato sopra è stata cancellata, l’autore stava ricevendo troppi idioti, ma trovate molti altri racconti simili di “educazione ai sentimenti”. Dio ce ne scampi.


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