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L’anima altrui, lo zombie altrui

Tratta gli sconosciuti nel modo in cui vorresti che uno sconosciuto trattasse te. 
Credo che questa, ai tempi del web, sia diventata una vera regola d’oro per vivere serenamente. Lo è sempre stata: “Fai agli altri quel che vorresti fosse fatto a te” è una massima millenaria.

Ma nella dimensione digitale, l’incontro con “gli altri” è centuplicato e perciò bisogna centuplicarne la forza. 

Una buona parte dei problemi in cui incorriamo, infatti, è dovuta al fatto che non presupponiamo negli altri la stessa buona volontà, le stesse genuine intenzioni che sentiamo provenire da noi stessi. L’altro è lo zombie, è quello che ordisce sotterfugi, è il disonesto intellettualmente, è il teleguidato da forze oscure, il vuoto guscio privo di volontà e anima.

Ovviamente, è comprensibile che sia così: non siamo programmati per incontrare così tanti sconosciuti poiché il nostro cervello di primati è ancora cablato per poterci relazionare al ristretto numero di membri della nostra tribù.

Ma la cultura ha aperto il mondo, ha valicato i confini e squadernato gli orizzonti e ci siamo costretti ad avere a che fare con un gran numero di persone di cui non possiamo approfondire gusti, personalità, pregi e difetti, aspirazioni e malinconie. Entriamo ogni giorno in contatto con una marea di gente di cui non sappiamo nulla e che nulla sa di noi, ed è questo che ci spinge a “zombificare” l’altro. 

Perciò, serve uno sforzo di titanica di dimensione: presupporre sempre, di primo acchito, l’anima altrui, ovvero relazionarsi anche al più perfetto degli sconosciuti come se avesse un’interiorità da difendere, dei desideri da manifestare, delle intenzioni decenti da tradurre in buone azioni. Sarà solo nel momento in cui l’altro dimostrerà la totale mancanza di caratteristiche moralmente accettabili che saremo autorizzati a trattarlo da zombie. Ma se partiamo sempre dal presupposto che l’altro è lo zombie, l’altro è l’idiota, il teleguidato, il disanimato, allora non potremo sorprenderci quando saranno gli altri ad approcciarci a noi con lo stesso odioso atteggiamento. 

Bisogna vedere nell’altro la sua anima con uno sforzo decisamente non indifferente perché altrimenti continueremo a incontrare persone che in noi non vogliono vederci l’anima. Solo così, credo, potremo tentare di costruire una dimensione digitale che non si dimentichi della dimensione umana, morale, relazionale, e in questo modo possa aiutarci a costruire una serena quotidianità, dentro e fuori dallo schermo.

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