Da cos’è che sono in fuga? Da cosa corro via velocemente, facendomi occupare ogni secondo di tempo da cose futili, da rumore inaudito, da cumuli di superfluo incontrollato? Questa è una domanda che ognuno di noi dovrebbe porsi di continuo, accorgendosi che la risposta è sempre più o meno la stessa: fuggo da me stesso.
Ne ho avuto la certezza qualche anno fa mentre stavo in fila al supermercato in attesa di caricare la spesa sul rullo. Era una mattina, non avevo impegni che richiedessero la mia immediata presenza, avevo tempo a disposizione ed eppure ero infastidito dalla lentezza del cassiere, dalle persone che mi precedevano nella fila, dall’idea di dover attendere, avere pazienza.
In quel momento mi sono vergognato, letteralmente.
Quella fretta, quell’ansia, quella necessità di sbrigarmi e veder sbrigato, era tutta una grande allucinazione che nascondeva il fatto ormai conclamato: ero in fuga dai miei pensieri, dalla mia pazienza, dalla mia presenza. Ero in fuga da me stesso. Mi proiettavo al dopo solo perché l’adesso mi metteva a disagio, una sorta di imbarazzo esistenziale decretato dalla spasmodica nevrosi di cui mi accorgevo davvero per la prima volta. Non c’era motivo di aver fretta se non quello di scappare dalla mia presenza che, durante la (im)paziente attesa, si faceva sentire più che mai. Non c’era motivo di essere infastidito da chi mi precedeva perché nessuno mi minacciava, nessuno mi arrecava danno, niente di niente poteva disturbarmi se non la forzata convivenza con me stesso, in piedi, con la spesa e null’altro con cui occuparmi al mondo. E quell’effimera epifania, per me, ha fatto molta differenza.
ùLì ho compreso che gran parte delle nostre ansie e dei problemi che ci trasciniamo dietro deriva dal fatto di non sopportare la nuda auto-presenza. Non riusciamo a tollerare il rumore dei pensieri che si librano nella mente quando nient’altro la occupa. Non sappiamo restare con le mani in mano, o meglio, con la coscienza in coscienza, e così rubiamo attimi al silenzio e ci lanciamo sempre nella fretta, nelle ansie e nel trambusto che soverchia la rumorosa quiete della nostra interiorità.
Purtroppo, quella fuga è illusoria: nessuno può davvero fuggire da quell’interiorità e al massimo possiamo allucinarci pensando che, lasciandoci occupare dagli stimoli del mondo come se fossimo una scuola abusivamente occupata da una masnada di studenti in rivolta, quell’auto-presenza possa essere dimenticata, cacciata sotto il tappeto, rimossa una volta per tutte. Ed è lì che iniziamo a crollare, pian piano, smettendo di prenderci cura di quell’unica persona da cui non ci potremo mai realmente staccare: me stesso.
Accorgersi della fuga impossibile è il primo passo per riprendere confidenza con sé, per accettare l’auto-presenza quando siamo in fila per fare la spesa, aprendo gli occhi sul mondo circostante in modo sereno e consapevole, comprendendo cosa vuol dire essere qui, ora, in un presente da cui non desidero più scappare. Lì, un mondo molto vasto si può aprire ai nostri occhi.